Incostituzionalità dell’art. 69 co. 4 c. p.

CORTE COSTITUZIONALE

SENTENZA

12.10.2023 n. 188 – ud. 27.09.2023

(Presidente Sciarra – Estensore Viganò)

Decisione

Illegittimità costituzionale dell’art. 69, co. 4 c.p., nella parte in cui prevede il divieto di prevalenza della circostanza attenuante di cui all’art. 648-ter.1, co. 2 c.p. – nella versione introdotta dall’art. 3, co. 3, della legge 15 dicembre 2014, n. 186 (Disposizioni in materia di emersione e rientro di capitali detenuti all’estero nonché per il potenziamento della lotta all’evasione fiscale. Disposizioni in materia di autoriciclaggio), e vigente fino alla sua sostituzione a opera dell’art. 1, comma 1, lettera f), numero 3), del decreto legislativo 8 novembre 2021, n. 195, recante «Attuazione della direttiva (UE) 2018/1673 del Parlamento europeo e del Consiglio, del 23 ottobre 2018, sulla lotta al riciclaggio mediante diritto penale» – sulla recidiva di cui all’art. 99, quarto comma, c.p.

Motivazione1

(…)

CONSIDERATO IN DIRITTO

[le questioni di legittimità costituzionale]

1. Con l’ordinanza di cui in epigrafe, il Tribunale ordinario di Firenze, sezione prima penale, solleva, in riferimento agli artt. 3, 25, secondo comma, e 27, terzo comma, Cost., questioni di legittimità costituzionale dell’art. 69, quarto comma, cod. pen., nella parte in cui prevede il divieto di prevalenza della circostanza attenuante del delitto di autoriciclaggio, di cui all’art. 648-ter.1, secondo comma, cod. pen. (nella versione ratione temporis applicabile), sulla recidiva di cui all’art. 99, quarto comma, cod. pen. In via subordinata, il giudice a quo censura la medesima norma, per contrasto con gli artt. 3 e 27, terzo comma, Cost., nella parte in cui prevede il divieto di prevalenza di più circostanze attenuanti sulla recidiva di cui all’art. 99, quarto comma, cod. pen.

[ammissibilità delle questioni]
2. Le questioni sono ammissibili.
Secondo la costante giurisprudenza di questa Corte, ai fini della verifica della rilevanza della questione è necessario e sufficiente che il rimettente motivi in modo non implausibile sulle ragioni, in fatto e in diritto, che lo conducono a ritenere applicabile la norma della cui legittimità costituzionale dubita nel giudizio principale (ex multis, sentenze n. 139 del 2023, punto 3 del Considerato in diritto; n. 94 del 2023, punto 2.2. del Considerato in diritto; n. 192 del 2022, punto 2 del Considerato in diritto).
Il che è quanto puntualmente avviene nell’articolata ordinanza introduttiva del presente giudizio.
2.1. Il rimettente motiva anzitutto in modo non implausibile – richiamando, in particolare, una pronuncia della Corte di cassazione (seconda sezione penale, sentenza 14 settembre-5 ottobre 2021, n. 36180) relativa a un caso di specie sovrapponibile a quello di cui è causa nel giudizio a quo – sulla riconducibilità della condotta contestata all’imputato alla figura legale dell’autoriciclaggio.
In tal modo, il giudice a quo scioglie in senso affermativo un dubbio interpretativo di per sé non futile, alla luce anche del quadro sanzionatorio di particolare rigore previsto da un’incriminazione che punisce autonomamente condotte successive alla commissione di un reato, funzionali a consolidarne il profitto in capo allo stesso autore: e cioè se sia sufficiente la mera vendita della res furtiva a integrare almeno uno dei requisiti normativi alternativi dell’“impiego”, “sostituzione” o “trasferimento” dei beni provenienti dalla commissione del delitto di furto in
«attività economiche, finanziarie, imprenditoriali o speculative»; dubbio che deve essere sciolto prima della verifica della sussistenza dell’ulteriore requisito normativo concernente l’idoneità della condotta a «ostacolare concretamente l’identificazione della […] provenienza delittuosa» dei beni sottratti.
2.2. Una densa motivazione è poi dedicata dall’ordinanza di rimessione all’ulteriore dubbio interpretativo concernente le modalità di calcolo della pena prevista per il reato presupposto, che ai sensi della norma censurata deve essere «inferiore nel massimo a cinque anni».
Il rimettente opta per la soluzione secondo cui decisivo sarebbe il riferimento alla pena prevista per il reato base, senza considerare le eventuali circostanze aggravanti o attenuanti che connotano in concreto il delitto presupposto, confrontandosi estesamente – in parte in senso critico, ma in assenza di diritto vivente sul tema specifico – con la giurisprudenza della Corte di cassazione formatasi su problemi interpretativi contigui. Tanto basta ai fini della verifica, che questa Corte è chiamata a compiere, della plausibilità della soluzione interpretativa adottata, che condiziona a sua volta la rilevanza delle questioni sollevate.
2.3. Il rimettente muove dall’implicito presupposto che l’art. 648-ter.1, secondo comma, cod. pen. costituisca circostanza attenuante a effetto speciale, anziché fattispecie autonoma di reato: qualificazione, quest’ultima, che priverebbe di rilevanza le questioni, rendendo in radice inapplicabile nel giudizio a quo il censurato art. 69, quarto comma, cod. pen.
Per quanto non manchino voci in dottrina che hanno sostenuto la tesi della natura di fattispecie autonoma della disposizione in parola, la tesi opposta – implicitamente accolta dal giudice a quo, e prevalente presso la stessa dottrina – corrisponde alla soluzione pacificamente adottata dalla giurisprudenza con riferimento alla contigua previsione di cui all’art. 648, quarto comma, cod. pen., che prevede un autonomo quadro edittale per la ricettazione «di particolare tenuità» (Corte di cassazione, sezione settima penale, ordinanza 8 luglio-21 ottobre 2022, n. 39944; sezione seconda penale, sentenza 13 maggio-1° luglio 2021, n. 25121).
La qualificazione su cui si fonda l’ordinanza di rimessione, inoltre, appare in linea con gli orientamenti delle sezioni unite della Corte di cassazione, che in generale tracciano la linea distintiva tra circostanze a effetto speciale e fattispecie autonome in base al «criterio strutturale della descrizione del precetto penale», ravvisando in linea di principio una mera circostanza allorché non vi sia una «immutazione degli elementi essenziali delle condotte illecite», che restano quelle descritte dalla fattispecie base (Corte di cassazione, sezioni unite penali, sentenza 27 ottobre 2011 – 7 febbraio 2012, n. 4694; si vedano altresì le sentenze 21 giugno-24 settembre 2018, n. 40982; 24 giugno-5 ottobre 2010, n. 35737; 26 giugno-10 luglio 2002, n. 26351).
A fronte di tali considerazioni, e in assenza di precedenti in senso contrario presso la giurisprudenza di legittimità, deve pertanto ritenersi che una specifica motivazione sul punto non fosse necessaria ai fini del vaglio, da parte di questa Corte, sulla rilevanza delle questioni sollevate, non potendo l’onere motivazionale del giudice a quo spingersi sino a dover confutare tutti i dubbi interpretativi sollevati in dottrina, o comunque astrattamente prospettabili, sulle disposizioni che condizionano la rilevanza della questione.
2.4. Il rimettente si sofferma, per contro, puntualmente sulle ragioni per cui ritiene non applicabile nel giudizio a quo il nuovo testo dell’art. 648-ter.1, terzo comma, cod. pen., (Autoriciclaggio) che – nella formulazione novellata dall’art. 1, comma 1, lettera f), numero 3), del d.lgs. n. 195 del 2021 – stabilisce che «[l]a pena è diminuita se il denaro, i beni o le altre utilità provengono da delitto per il quale è stabilita la pena della reclusione inferiore nel massimo a cinque anni».
Giustamente il giudice a quo rileva, infatti, che tale disposizione, stabilendo una diminuzione di pena inferiore a quella prevista al momento del fatto dall’art. 648-ter.1, secondo comma, cod. pen. nella versione allora vigente, è più sfavorevole per l’imputato, e pertanto risulta a lui inapplicabile ai sensi dell’art. 2, quarto comma, cod. pen.
2.5. Infine, il rimettente articola due gruppi distinti di questioni di legittimità costituzionale, in chiaro rapporto di subordinazione: il che, secondo la costante giurisprudenza di questa Corte (ex multis, sentenze n. 7 del 2022, punto 2.3. del Considerato in diritto; n. 152 del 2020, punto 2.2.1. del Considerato in diritto), gli è certamente consentito, a differenza di ciò che sarebbe accaduto ove i distinti petita fossero stati proposti in modo meramente alternativo e – pertanto – ancipite, con conseguente devoluzione alla Corte di una «impropria competenza di scegliere tra ess[i]» (ordinanza n. 221 del 2017).

3. Nel merito, le questioni formulate in via principale sono fondate, con riferimento a tutti i parametri evocati.
In numerose precedenti occasioni questa Corte ha dichiarato costituzionalmente illegittimo l’art. 69, quarto comma, cod. pen., nella parte in cui prevedeva il divieto di prevalenza di altrettante circostanze attenuanti sulla recidiva di cui all’art. 99, quarto comma, cod. pen.
In particolare, nella recente sentenza n. 94 del 2023 (punto 10 del Considerato in diritto) sono state rammentate e sinteticamente illustrate le varie rationes decidendi sottese alle sentenze anteriori, riconducibili peraltro all’esigenza di mantenere – con le parole della successiva sentenza n. 141 del 2023 (punto 3.1. del Considerato in diritto) – «un conveniente rapporto di equilibrio tra la gravità (oggettiva e soggettiva) del singolo fatto di reato e la severità della risposta sanzionatoria, evitando in particolare quella che la sentenza “capostipite” n. 251 del 2012 già aveva definito l’“abnorme enfatizzazione delle componenti soggettive riconducibili alla recidiva reiterata, a detrimento delle componenti oggettive del reato” (punto 5 del Considerato in diritto) creata dall’art. 69, quarto comma, cod. pen.».
Tale criterio generale non può non condurre anche in questo caso alla dichiarazione di illegittimità costituzionale auspicata dal rimettente. Prevedendo per l’autoriciclaggio una pena dimezzata, tanto nel massimo quanto nel minimo, allorché il delitto presupposto sia di minore gravità – segnatamente quando esso sia punito con pena inferiore a cinque anni di reclusione –, il legislatore ha inteso differenziare nettamente il disvalore oggettivo di questa ipotesi rispetto alla fattispecie base, la quale è peraltro caratterizzata da un quadro sanzionatorio di notevole severità, calibrato su fenomeni criminosi ben più gravi – anche per la loro dimensione offensiva del sistema economico, imprenditoriale e finanziario – rispetto a condotte come quelle oggetto del procedimento principale.
Allorché però il delitto risulti aggravato dalla recidiva reiterata – situazione statisticamente assai frequente allorché il reato presupposto sia un furto, come nel caso oggetto del giudizio a quo –, l’intento legislativo di prevedere un trattamento sanzionatorio sensibilmente meno severo per i fatti di riciclaggio conseguenti ai delitti oggettivamente meno gravi viene, agli effetti pratici, frustrato dalla norma censurata, che vincola il giudice all’irrogazione di una pena non inferiore al minimo previsto per la fattispecie base di autoriciclaggio.
Ciò ridonda anzitutto in una violazione del canone della proporzionalità della pena fondato sugli artt. 3 e 27, terzo comma, Cost., il quale si oppone a che siano comminate dal legislatore – e conseguentemente applicate dal giudice – pene manifestamente sproporzionate rispetto al disvalore oggettivo e soggettivo del reato (sentenza 141 del 2023, punto 3.2. del Considerato in diritto).
Dalla norma censurata scaturisce altresì un vulnus al principio di offensività di cui all’art. 25, secondo comma, Cost., il quale esige che la pena sia sempre essenzialmente concepita come risposta a un singolo “fatto” di reato, e non sia invece utilizzata come misura primariamente volta al controllo della pericolosità sociale del suo autore, rivelata dalle sue qualità personali (sostanzialmente in questo senso sentenza n. 249 del 2010, punto 9 del Considerato in diritto, nonché – con riferimento specifico al divieto di cui all’art. 69, quarto comma, cod. pen. – sentenze n. 205 del 2017, punto 5 del Considerato in diritto; n. 105 del 2014, punto 4 del Considerato in diritto; n. 251 del 2012, punto 5 del Considerato in diritto).
Il che accade, per l’appunto, per effetto della norma ora censurata, da cui discende addirittura il raddoppio della pena minima, a parità di disvalore oggettivo del fatto, in considerazione dei soli precedenti penali dell’autore.
L’art. 69, quarto comma, cod. pen. deve, pertanto, essere dichiarato costituzionalmente illegittimo nella parte in cui prevede il divieto di prevalenza della circostanza attenuante di cui all’art. 648-ter.1, secondo comma, cod. pen. (nella versione introdotta dall’art. 3, comma 3, della legge n. 186 del 2014, e vigente fino alla sua sostituzione a opera dell’art. 1, comma 1, lettera f, numero 3, del d.lgs. n. 195 del 2021) sulla recidiva di cui all’art. 99, quarto comma, cod. pen.

PER QUESTI MOTIVI
LA CORTE COSTITUZIONALE

dichiara l’illegittimità costituzionale dell’art. 69, quarto comma, del codice penale,
nella parte in cui prevede il divieto di prevalenza della circostanza attenuante di cui all’art. 648-ter.1, secondo comma, cod. pen. – nella versione introdotta dall’art. 3, comma 3, della legge 15 dicembre 2014, n. 186 (Disposizioni in materia di emersione e rientro di capitali detenuti all’estero nonché per il potenziamento della lotta all’evasione fiscale. Disposizioni in materia di autoriciclaggio), e vigente fino alla sua sostituzione a opera dell’art. 1, comma 1, lettera f), numero 3), del decreto legislativo 8 novembre 2021, n. 195, recante «Attuazione della direttiva (UE) 2018/1673 del Parlamento europeo e del Consiglio, del 23 ottobre 2018, sulla lotta al riciclaggio mediante diritto penale» – sulla recidiva di cui all’art. 99, quarto comma, cod. pen.

* * *

Norme

Art. 648-ter.1 (Autoriciclaggio) c.p. testo vigente
Si applica la pena della reclusione da due a otto anni e della multa da euro 5.000 a euro
25.000 a chiunque, avendo commesso o concorso a commettere un delitto ((…)) impiega, sostituisce, trasferisce, in attività economiche, finanziarie, imprenditoriali o speculative, il denaro, i beni o le altre utilità provenienti dalla commissione di tale delitto, in modo da ostacolare concretamente l’identificazione della loro provenienza delittuosa.
((La pena è della reclusione da uno a quattro anni e della multa da euro 2.500 a euro 12.500 quando il fatto riguarda denaro o cose provenienti da contravvenzione punita con l’arresto superiore nel massimo a un anno o nel minimo a sei mesi.)) ((La pena è diminuita se il denaro, i beni o le altre utilità provengono da delitto per il quale è stabilita la pena della reclusione inferiore nel massimo a cinque anni.))
Si applicano comunque le pene previste dal primo comma se il denaro, i beni o le altre utilità provengono da un delitto commesso con le condizioni o le finalità di cui all’articolo ((416-bis.1))
Fuori dei casi di cui ai commi precedenti, non sono punibili le condotte per cui il denaro, i beni o le altre utilità vengono destinate alla mera utilizzazione o al godimento personale.
La pena è aumentata quando i fatti sono commessi nell’esercizio di un’attività bancaria o finanziaria o di altra attività professionale.
La pena è diminuita fino alla metà per chi si sia efficacemente adoperato per evitare che le condotte siano portate a conseguenze ulteriori o per assicurare le prove del reato e l’individuazione dei beni, del denaro e delle altre utilità provenienti dal delitto.
Si applica l’ultimo comma dell’articolo 648.

Art. 648-ter.1 (Autoriciclaggio) c.p. testo previgente
Si applica la pena della reclusione da due a otto anni e della multa da euro 5.000 a euro
25.000 a chiunque, avendo commesso o concorso a commettere un delitto non colposo, impiega, sostituisce, trasferisce, in attività economiche, finanziarie, imprenditoriali o speculative, il denaro, i beni o le altre utilità provenienti dalla commissione di tale delitto, in modo da ostacolare concretamente l’identificazione della loro provenienza delittuosa.
Si applica la pena della reclusione da uno a quattro anni e della multa da euro 2.500 a euro 12.500 se il denaro, i beni o le altre utilità provengono dalla commissione di un delitto non colposo punito con la reclusione inferiore nel massimo a cinque anni.
Si applicano comunque le pene previste dal primo comma se il denaro, i beni o le altre utilità provengono da un delitto commesso con le condizioni o le finalità di cui all’articolo 7 del decreto-legge 13 maggio 1991, n. 152, convertito, con modificazioni, dalla legge 12 luglio 1991, n. 203, e successive modificazioni.
Fuori dei casi di cui ai commi precedenti, non sono punibili le condotte per cui il denaro, i beni o le altre utilità vengono destinate alla mera utilizzazione o al godimento personale.
La pena è aumentata quando i fatti sono commessi nell’esercizio di un’attività bancaria o finanziaria o di altra attività professionale.
La pena è diminuita fino alla metà per chi si sia efficacemente adoperato per evitare che le condotte siano portate a conseguenze ulteriori o per assicurare le prove del reato e l’individuazione dei beni, del denaro e delle altre utilità provenienti dal delitto.
Si applica l’ultimo comma dell’articolo 648.

Art. 69 (Concorso di circostanze aggravanti e attenuanti)
Quando concorrono insieme circostanze aggravanti e circostanze attenuanti, e le prime sono dal giudice ritenute prevalenti, non si tien conto delle diminuzioni di pena stabilite per le circostanze attenuanti, e si fa luogo soltanto agli aumenti di pena stabiliti per le circostanze aggravanti.
Se le circostanze attenuanti sono ritenute prevalenti sulle circostanze aggravanti, non si tien conto degli aumenti di pena stabiliti per queste ultime, e si fa luogo soltanto alle diminuzioni di pena stabilite per le circostanze attenuanti.
Se fra le circostanze aggravanti e quelle attenuanti il giudice ritiene che vi sia equivalenza, si applica la pena che sarebbe inflitta se non concorresse alcuna di dette circostanze.
Le disposizioni del presente articolo si applicano anche alle circostanze inerenti alla persona del colpevole, esclusi i casi previsti dall’articolo 99, quarto comma, nonché dagli articoli 111 e 112, primo comma, numero 4), per cui vi è divieto di prevalenza delle circostanze attenuanti sulle ritenute circostanze aggravanti, ed a qualsiasi altra circostanza per la quale la legge stabilisca una pena di specie diversa o determini la misura della pena in modo indipendente da quella ordinaria del reato.

Sentenze richiamate

Corte cost. 5.11.2012, n. 251 (sentenza richiamata come “capostipite”): dichiara l’illegittimità costituzionale dell’art. 69, quarto comma, del c.p., come sostituito dall’art. 3 della legge 5 dicembre 2005, n. 251 (Modifiche al c.p. e alla legge 26 luglio 1975, n. 354, in materia di attenuanti generiche, di recidiva, di giudizio di comparazione delle circostanze di reato per i recidivi, di usura e di prescrizione), nella parte in cui prevede il divieto di prevalenza della circostanza attenuante di cui all’art. 73, comma 5, del decreto del Presidente della Repubblica 9 ottobre 1990,
n. 309 (Testo unico delle leggi in materia di disciplina degli stupefacenti e sostanze psicotrope, prevenzione, cura e riabilitazione dei relativi stati di tossicodipendenza) sulla recidiva di cui all’art. 99, quarto comma, del c.p. [nb: la sentenza è anteriore alla modifica dell’art. 73, co. 5 t.u.stup. ad opera del d.l. 23.12.2013, n. 146, conv. con mod. dalla l. 21.2.2014, n. 10, a seguito della quale la giurisprudenza ha mutato orientamento in ordine alla natura giuridica della fattispecie ritenendola non più una fattispecie circostanziata, ma un titolo autonomo di reato];

Corte cost. 12.5.2023, n. 94: dichiara l’illegittimità costituzionale dell’art. 69, quarto comma, del c.p., come modificato dall’art. 3 della legge 5 dicembre 2005, n. 251 (Modifiche al codice penale e alla legge 26 luglio 1975, n. 354, in materia di attenuanti generiche, di recidiva, di giudizio di comparazione delle circostanze di reato per i recidivi, di usura e di prescrizione), nella parte in cui, relativamente ai delitti puniti con la pena edittale dell’ergastolo, prevede il divieto di prevalenza delle circostanze attenuanti sulla recidiva reiterata di cui all’art. 99, quarto comma, c.p.

Approfondimenti
  • Sul bilanciamento di circostanze eterogenee in generale e sulle sentenze che hanno dichiarato l’illegittimità costituzione dell’art. 69, co. 4 c.p., v. G. PIFFER, Manuale di diritto penale giurisprudenziale, 2023, XIV, 2.4;
  • Sull’illegalità sopravvenuta della pena a seguito di sentenze dichiarative dell’incostituzionalità di norme attinenti ai profili sanzionatori del reato, v. G. PIFFER, Manuale di diritto penale giurisprudenziale, 2023, V, 3.3.
Note

1 Le parole tra parentesi quadra ed i grassetti non sono presenti nella sentenza e sono stati inseriti per evidenziare i concetti fondamentali.

 

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