TEMA DI DIRITTO PENALE
Concorso a 350 posti di magistrato ordinario (DM 10.12.2024)
09.07.2025
Traccia assegnata
Ricostruita la nozione di incaricato di pubblico servizio alla luce della concezione oggettivo-funzionale, si tratti della configurabilità del peculato nel caso in cui interventi normativi o giurisprudenziali incidano sulla qualificazione dell’attività svolta dall’autore del fatto.
Svolgimento
La nozione di incaricato di pubblico servizio (in seguito: i.p.s.) è prevista dall’art. 358 c.p., ma assume rilevanza anche l’art. 357 c.p., riguardante la nozione di pubblico ufficiale, al quale l’art. 358 fa parziale rinvio.
Perché il soggetto possa essere qualificato come i.p.s., agli effetti della legge penale, si richiede innanzitutto che, “a qualunque titolo”, egli presti “un pubblico servizio”, per tale intendendosi un’attività diretta obiettivamente al raggiungimento di pubbliche finalità, anche se demandata a soggetti privati.
Si richiede inoltre, quale ulteriore requisito positivo, che tale attività sia disciplinata nelle stesse forme della pubblica funzione, cioè da norme di diritto pubblico o da atti autoritativi.
Infine, la legge richiede due requisiti negativi: (i) la mancanza in capo al soggetto di poteri autoritativi (cioè di poteri coercitivi o comportanti comunque un rapporto non paritetico con l’autorità) o certificativi (cioè di poteri di documentazione con efficacia probatoria), tipici della pubblica funzione; (ii) il fatto che il soggetto non svolga “semplici mansioni di ordine” o non presti “opera meramente materiale”.
L’esposta normativa è il frutto della modifica degli articoli citati ad opera della l. 26.4.1990, n. 86, che ha adottato la concezione oggettivistico-funzionale della nozione di i.p.s., che prescinde dal rapporto di dipendenza del soggetto dallo Stato o da altro ente pubblico.
La qualifica di i.p.s. può dunque essere riconosciuta, oltre che a pubblici dipendenti, anche a semplici privati. Si pensi ad esempio al legale rappresentante di un ente (non importa se di natura pubblica o privata), operante con strumenti privatistici, concessionario di un servizio pubblico.
Il legislatore ha così superato la concezione c.d. soggettiva adottata (anche se non in via esclusiva) dalla normativa previgente, che tra le definizioni di i.p.s. annoverava innanzitutto quella basata sul fatto che il soggetto prestasse, permanentemente o temporaneamente, un pubblico servizio e fosse un impiegato dello Stato o di un altro ente pubblico.
Il reato di peculato, previsto dall’art. 314 c.p., è un reato proprio, in quanto può essere commesso solo da chi riveste la qualifica di pubblico ufficiale o di i.p.s. ed ha, per ragione del suo ufficio o servizio, il possesso o comunque la disponibilità di denaro o di altra cosa mobile altrui, da intendersi, rispettivamente, come relazione materiale con la cosa, anche se temporanea o precaria, e come concreta possibilità di disporre del bene, materialmente detenuto da altri, mediante un atto dispositivo rientrante nella competenza del soggetto qualificato.
Il co. 1 dell’art. 314 c.p. prevede l’ipotesi ordinaria di peculato che è integrata dalla condotta di appropriazione del denaro o della cosa mobile altrui. Sulla fattispecie ha variamente inciso la già citata l. n. 87/1990, che ha tra l’altro espunto dalla disposizione normativa il riferimento alla condotta di distrazione, che compariva nel testo previgente.
Il co. 2 dell’art. 314 c.p. prevede l’autonomo reato di peculato d’uso, che punisce il soggetto avente le indicate qualifiche pubblicistiche, il quale agisce al solo scopo di fare uso momentaneo della cosa e, dopo tale uso, immediatamente la restituisce.
Interventi normativi possono incidere sulla qualificazione dell’attività svolta dal soggetto mutandone la disciplina, incidendo così sulla qualifica pubblicistica del soggetto che dipende da tale normativa. In tal caso la norma definitoria di cui all’art. 358 c.p. non viene modificata, mentre muta la disciplina dell’attività svolta dal soggetto che deve essere considerata per valutare se la qualifica pubblicistica sussista o non sussista: in altri termini la norma penale non muta, ma muta la normativa extrapenale rilevante per l’applicazione della prima.
Due sono le possibili conseguenze di tali interventi normativi sulla qualifica di i.p.s.: (i) il soggetto, prima non qualificabile come i.p.s., acquisisce detta qualifica, in quanto l’attività svolta viene ad assumere i caratteri del pubblico servizio e ricorrono gli altri elementi (positivi e negativi) che caratterizzano la relativa qualifica; (ii) il soggetto perde la qualifica di i.p.s., in quanto l’intervento normativo comporta la perdita della natura di pubblico servizio dell’attività svolta o muta la sua disciplina, sicché non risulta più applicabile l’art. 358 c.p..
In entrambi i casi l’intervento normativo non incide sulla norma definitoria (di natura penale) di i.p.s., ma sulle norme extrapenali rilevanti per l’applicazione della stessa.
Nel caso sub (i) non si pongono particolari problemi. Quanto alle condotte di appropriazione poste in essere successivamente all’acquisizione della qualifica pubblicistica, esse integreranno gli estremi del peculato (ove sussistenti tutti gli elementi costitutivi della fattispecie). Quanto alle condotte appropriative antecedenti, è necessario distinguere: – se esse integravano già gli estremi del reato di appropriazione indebita dovrà essere applicata la norma in concreto più favorevole ai sensi dell’art. 2, co. 4 c.p. tra l’art. 646 c.p. e l’art. 314 c.p., poiché il fatto costituisce reato per tutte le norme succedutesi nel tempo e l’art. 314 c.p. presenta carattere speciale, onde può trovare applicazione il criterio della coincidenza strutturale previsto dalla prevalente giurisprudenza delle S.u.; – se esse non integravano alcun reato rimarrà naturalmente confermata la penale irrilevanza delle stesse.
Nel caso sub (ii) il venir meno della qualifica pubblicistica comporta sicuramente la non configurabilità del peculato per le condotte appropriative successive, mentre rispetto alle condotte antecedenti integranti il reato di peculato si pone il problema se il venir meno della qualifica pubblicistica comporti, retroattivamente, la non configurabilità del reato di peculato o se il reato resti configurabile.
Con riferimento a quest’ultima ipotesi, viene in considerazione la problematica generale della modifica della normativa extrapenale rilevante ai fini della qualifica pubblicistica del soggetto attivo del reato, problematica rispetto alla quale nella giurisprudenza si registra una significativa evoluzione.
In un primo momento la sentenza S.u. Tuzet ha ritenuto che la modifica della normativa extrapenale che aveva comportato la perdita della qualifica pubblicistica del soggetto attivo avesse determinato l’abolitio del reato di peculato (nella specie si trattava della normativa riguardante l’attività degli operatori bancari). Le S.u. avevano motivato la decisione utilizzando la categoria dell’integrazione della norma penale da parte della normativa extrapenale, con la conseguenza che la modifica di quest’ultima, comportante la perdita della qualifica pubblicistica, doveva ritenersi modifica della norma incriminatrice con perdita della qualità di soggetto attivo del reato.
Il principio opposto è stato poi affermato dalla giurisprudenza rispetto a casi di modifica della normativa extrapenale (in base ad un atto amministrativo o in base ad un atto avente forza di legge), comportante la perdita della qualifica pubblicistica del soggetto attivo (si pensi ai casi di privatizzazione di enti pubblici o di modifica della disciplina dell’attività demandata al soggetto). In tali casi la giurisprudenza ha infatti escluso la natura integratrice della norma extrapenale: la sua modifica non incide infatti sulla fattispecie incriminatrice, che resta immutata, perché ciò che cambia, a seguito del nuovo assetto normativo, è solo la situazione di fatto alla quale non risulta più applicabile la fattispecie astratta.
Da ciò consegue che il fenomeno in esame non è qualificabile come successione di leggi penali nel tempo e non è dunque assoggettato alla disciplina dell’art. 2 c.p.: la perdita della qualifica pubblicistica da parte del soggetto non realizza dunque un’abolitio criminis del reato di peculato, che resta configurabile rispetto ai fatti pregressi.
Il fenomeno della modifica mediata della fattispecie incriminatrice e dei suoi limiti è stata oggetto di approfondimento in particolare da parte della sentenza S.u. Magera, tra l’altro con riferimento al caso, sotto certi aspetti analogo a quello in esame, dell’ingresso della Romania nell’U.E. dal gennaio 2007: applicando l’esposto principio le S.u. hanno escluso che tale fenomeno normativo avesse determinato l’abolitio del reato di inosservanza dell’ordine di lasciare il territorio nazionale commesso dal cittadino rumeno anteriormente al gennaio 2007, quando aveva ancora la qualifica di cittadino straniero (qualifica richiesta nel soggetto attivo del reato). Tale fenomeno, hanno affermato le S.u., non ha inciso sulla fattispecie astratta di reato, ma ha solo comportato che il reato non è più configurabile perché è intervenuta una nuova situazione di fatto.
Interventi giurisprudenziali possono incidere sulla qualificazione dell’attività svolta dal soggetto, incidendo così sulla qualifica pubblicistica del soggetto che dipende da tale normativa.
Assume al riguardo rilevanza la problematica generale dell’overruling giurisprudenziale delle Sezioni unite, che può essere di due tipi: favorevole o sfavorevole.
L’overruling favorevole ricorre nell’ipotesi in cui le S.u., modificando un contrario orientamento giurisprudenziale consolidato, escludono che una determinata categoria di soggetti rivesta la qualifica di i.p.s., con la conseguenza che non sarà più configurabile il reato di peculato, per la mancanza, in capo al soggetto, della qualifica pubblicistica.
Nulla questio se tale modifica interviene mentre il processo è ancora sub iudice, poiché in tale caso del mutamento giurisprudenziale potranno tenere conto i giudici investiti della decisione.
Se invece è già intervenuta sentenza di condanna passata in giudicato, assume rilevanza il consolidato orientamento giurisprudenziale secondo il quale non può trovare applicazione l’art. 673 c.p.p. che prevede la revoca della sentenza di condanna nel caso di intervenuta abolitio criminis, in quanto il revirement delle S.u. non può essere equiparato ad una modifica normativa (nella specie: all’abolitio criminis), in quanto il diritto giurisprudenziale non può essere annoverato tra le fonti del diritto, equiparabile alla legge formale o all’atto avente forza di legge.
Tale principio è stato affermato in particolare dalla nota sentenza della Corte costituzionale n. 230/2012, che ha dichiarato l’infondatezza della questione di legittimità costituzionale dell’art. 673 c.p.p. nella parte in cui non include, nelle ipotesi di revoca della sentenza di condanna, anche il mutamento giurisprudenziale determinato da un revirement delle Sezioni unite, comportante la “restrizione” del novero delle condotte penalmente rilevanti.
Ha osservato in proposito la Corte che l’accoglimento della eccezione di incostituzionalità comporterebbe un’inaccettabile sovversione del sistema: perché introdurrebbe nell’ordinamento giudiziario nazionale un vincolo gerarchico tra gli organi giudicanti, del tutto incompatibile con il dettato costituzionale; perché contrasterebbe con il principio della separazione dei poteri, per cui il giudice deve rimanere “soggetto” alla legge e non può divenire law maker; perché riconoscerebbe al giudice ordinario il potere di abrogare un precetto penale, il che esula dalla sua competenza.
L’overruling sfavorevole ricorre invece nell’ipotesi in cui le S.u., modificando un contrario orientamento giurisprudenziale consolidato, riconoscono (o estendono) la qualifica di i.p.s. a una determinata categoria di soggetti ai quali in precedenza non era riconosciuta. Trova in questo caso applicazione il principio consolidato nella giurisprudenza delle Sezioni unite, secondo il quale il nuovo orientamento sfavorevole può essere applicato ai reati commessi anteriormente all’affermarsi del nuovo orientamento e ciò non contrasta con gli artt. 25, co. 2 Cost. e 7 CEDU, se la modifica era ragionevolmente prevedibile al momento della realizzazione della condotta costituente reato.
Osservazioni
Per una trattazione degli argomenti di parte generale rilevanti per la redazione del tema si rinvia a Guido Piffer, Manuale di diritto penale giurisprudenziale. Parte generale, Pacini Giuridica, Pisa, 2024 (seconda edizione):
V,2.9: su successione di leggi penali nel tempo e norme richiamate;
V,2.10.7: sulle modifiche della normativa extrapenale incidenti sulla qualifica pubblicistica del soggetto attivo del reato;
II,5.2.2; V,2.2.5: sull’overruling giurisprudenziale favorevole;
III,6.12: sull’overruling giurisprudenziale sfavorevole.